#Silenzioinfaminore

Due uova ad occhio di bue e una fetta di pane dorato facevano capolino da un angolo della cucina. Lucide, tonde, perfette. A fianco, un saggio polveroso si apriva su un folgorante assioma: “Niente più seduzione, niente più desiderio e nemmeno più piacere: tutto è lì, nella ripetizione illimitata, dentro quell’accumulo in cui la quantità diffida soprattutto della qualità.” Nel punto esatto in cui il verbo di Baudrillard proclamava la caduta della visione sull’altare di una complessità tutta patafisica, in adorazione al suo amato padrone, pacifica sonnecchiava Kiwi, cinquanta centimetri di morbidissima gatta certosina dal manto grigio blu e dagli occhi indagatori color dell’ambra. Poco più in là Andrea, armoniosamente allungato in un ottimo Balasana/il bambino, fronte appoggiata a terra e glutei sui talloni, rannicchiato, rovistava il silenzio alle prese col suo quotidiano rito d’iniziazione al mattino. Ore 6,00 in punto, trenta minuti da dedicare ai buoni propositi: entrare in armonia col cosmo e avviarsi a produrre il fabbisogno quotidiano di bellezza. Fatto. Riconciliato e contento, Andrea scioglieva la sua asana e si preparava ad affrontare il nuovo giorno.

Uno spiffero gelido intanto si faceva largo dalla finestra, rimescolando qua e là i fogli sparsi per il tavolo con sommo gaudio di Kiwi che si lanciava festosa all’inseguimento delle prede di cellulosa levatesi in un allegro volteggiare. Un pizzico di panico seguiva il planare di Kiwi lungo i prospetti delle facciate per le lucenti tavole. Mentre le amate vibrisse si esibivano in un delizioso assolo tra virtuose piroette, balzi in avanti e rapide frenate Andrea, ora qua ora là, cercava assennatamente di portare in salvo le planimetrie. Finito lo stralunato assolocongattoinfaminore, con acquiescente rassegnazione, Andrea contava le perdite. Appena qualche graffio qua e là a fare da sfondo agli alberi meticolosamente disposti attorno all’Edificio B che, orgoglioso sormontava l’attonita collina.

Ne era certo. L’Ingegnere Bertin avrebbe capito. Ancora meglio. Avrebbe interpretato i graffi come sintomo di autenticità. Il contatto con la natura funzionava sempre con l’Ingegnere Bertin.

La giornata aveva tutta l’aria di presentarsi frizzante. Un sospiro, un sorso di te e via incontro al nuovo giorno.

Un attimo. Un lampo colorato. Un silenzio. Una vibrazione muta seguita da un sottilissimo ronzio. Poi, stop: di nuovo vita.

Meravigliato ma non troppo – ne capitavano cose insolite da quelle parti! – cercava non senza difficoltà di imboccare la porta di casa mentre Kiwi, felpata più che mai, sgattaiolava sull’assolato pianerottolo. Acchiappato al volo l’astuto felino, rientrato in casa e accoccolatolo amorevolmente sul tavolo, si consegnava piacevolmente al primo raggio di sole che timido ammiccava dalla finestra. Lungo il viale la ragazza dal caschetto rame procedeva svelta, quasi di corsa, con la solita aria impacciata. Un attimo prima di girare l’angolo, una breve esitazione, una rapida sosta impreziosita da un lento gesticolare: la mano sulla fronte ed eccola lì a sfoggiare il più bel sorriso del vicinato. Mentre le fantasie stupivano i pensieri, qualcosa di morbido richiamava la sua attenzione spintonandogli amorevolmente l’addome. Tempo di pappa e di crocchini. Ma anche tempo di andare. Imboccata la porta di casa, sullo zerbino a forma di Zuppa Campbell, stazionava un coloratissimo origami, un aeroplanino sapientemente realizzato su stampa fumetto.

Aveva sempre adorato i comics e gli aeroplanini poi… come resistere?
Sull’ala del piccolo jet lime un post-it recitava: ’Sssst…Come dici? Se sei il prescelto? Ma certo che sei il prescelto. Sorridi. Smile ’.
In quello stesso istante un sorriso illuminava il volto amabile di Andrea.
Il mattino ha l’origami in bocca Davvero un ottimo presagio.

Mumble mumble.. Pensieri.
Il prescelto.
E se fossi davvero il prescelto?
Prescelto dall’Ingegner Bertin, magari.
Se oggi fosse proprio il giorno giusto? Perché no.

Un sorriso lo accompagnava giù per le scale, rapido e gioioso. Uscito dal portone, uno sguardo furtivo e imbarazzato alla solita dirimpettaia che aspettava l’autobus sul marciapiede di fronte. Una t-shirt bianca su un denim strappato. Non poteva fare ameno di pensare che fosse la cornice ideale per tutto quel fiorire di curve. Chissà di che colore aveva gli occhi. Un giorno o l’altro avrebbe dovuto chiederle il nome e tuffarcisi dentro quegli occhi.

Pensieri, sciocchi al punto giusto.

L’autobus intanto ripartiva portando con sé la venusiana creatura e con lei le tracce degli ultimi desideri. Una promessa mancata e un whhooossshhh suggellavano la traccia di un allettante rimosso, socchiuso tra le porte di un bus. Un sorriso impacciato, un accogliente déjavù improvvisamente distolti dal precipitare di qualcosa.

Un attimo. Un lampo colorato. Un silenzio. Una vibrazione muta seguita da un sottilissimo ronzio. Poi, stop: di nuovo vita. Smog.

Un gesto istintivo, il tempo di un sospiro, lo portava a frugarsi il capo. Tra le mani un cigno lime, un piccolissimo origami, brillava più che mai. Stessa carta fumetto. Stesso post-it.

Hmmm.. mumble mumble.. Curiosità. Strana coincidenza.

Si scopriva a guardare il cigno che placido riposava sul palmo della sua mano. Con ammirata reverenza lo girava, lo guardava, lo rigirava. Un oggetto di un lirismo infinito. Realizzato con estrema cura. Tridimensionalità perfetta. Piccolo al punto giusto. Magistralmente illuminato dai colori cartoon che gli consegnavano un candore infantile squisitamente unico. Quasi stringesse tra le mani una piccola poesia metropolitana, perso nella sua perfezione, si scopriva emozionato. Un evento qualunque, di cui si trovava protagonista probabilmente per puro caso, lo condizionava a tal punto da paralizzarlo. Immobile da diversi attimi, sopraffatto da uno stupore senza tempo, felice come un bambino di nulla, di bouuu, di domani.

Senza neppure leggere il post-it allegato, riponeva con cura l’anima manga nella cartella contenente le planimetrie e proseguiva ammaliato verso la più inattesa giornata possibile.

Le ore trascorrevano apparentemente identiche, riunione dopo riunione, tavola dopo tavola. Concentrato a non deludere le aspettative dell’ingegner Bertin e dei suoi interlocutori esteri a tal punto da dimenticare il meritato break che splendido avanzava su due incantevoli gambe in livrea, accompagnando una solenne processione di carrelli traboccanti di leccornie di ogni genere. Signore indiscusso di quel paradiso gastronomico, l’hamburger vegetariano su composta di alghe caramellate ordinato da Andrea. Sorrisi, convenevoli, tutto al posto giusto al momento giusto. La mattina perfetta procedeva splendidamente salutata dal più fusion dei catering possibili. La giovane donna in divisa faceva largo alle pietanze, tra i plastici e gli schizzi, attraverso il lungo tavolo. In un angolo, un po’ in disparte, a fianco alla tagliata di tonno in crosta di sesamo, l’incantevole hamburger si slanciava, ammirato dagli sguardi degli astanti sedotti dal meticoloso impiattamento e dai colori vividi di una decorazione neo retro.

Un attimo. Un lampo colorato. Un silenzio. Una vibrazione muta seguita da un sottilissimo ronzio. Poi, stop: di nuovo vita. Spezie. Mare.

Un origami a forma di rosa scarlatta con petali intarsiati di post-it colorati sovrastava l’hamburger rifinendolo graziosamente. Andrea con ostentata sicurezza si guardava intorno incredulo senza prendere il piatto, aspettando che qualcuno lo facesse al posto suo o che svelasse prontamente il gioco. Nessuno si faceva avanti. Accertandosi di non rubare sguardi indiscreti, conquistava rapido l’avamposto tirando via con una mano la rosa vermiglia mentre il cuore euforico gli rimbalzava giù e su.

Doveva ragionare. Occorreva appartarsi senza destare sospetti. Trovare il modo di scrutare gli astanti. Capire se qualcuno si mostrava eccessivamente spavaldo o troppo timido. Magari sarebbe stato un indizio.

Conquistato silenziosamente l’angolo più remoto della stanza, sbirciava e risbirciava.
L’Ingegner Bertin? Che fosse lui ad avere architettato tutto quel ambaradan?
Escluso.
Men che mai gli ospiti stranieri impettiti nei loro griffatissimi tailleur.
La commissione? Forse.
Si ritrovava così a ripercorrere i convitati, uno ad uno: gli addetti al collaudo, l’esperta di marketing territoriale, la geologa moldava. Niente. Buio assoluto.
E allora?
Restavano soltanto la segretaria ultra cinquantenne, la barista sexi e il cuoco, un omaccione nerboruto che, con nonchalance, dispensava sorrisi e ravioli.

Incubus.

Si era praticamente perso d’animo quando un’idea sensata balenava improvvisamente dal nulla. Occorreva riconquistare il più bel fiore del giardino, sfogliarne i petali e decodificare i post-it. Ne era certo. Lì avrebbe trovato gli indizi.

Innnfattiii. Com’è che non ci aveva pensato prima?

Recuperato il profumato fiore, incipriato di spezie e fiocchi di zenzero candito, puntava dritto al cuore sfogliandone delicatamente i petali, uno ad uno:

Post-it #1: ‘Ssssttt…’
Post-it #2: ‘M’ama.’
Post-it #3: ‘Non m’ama.’
Post-it #4: ‘M’ama.’
Post-it #5: ‘Non m’ama’.
Post-it #6: ‘E se m’ama?’
Post-it #7: “E’ qua che ha sede l’idea felice?”
Post-it #8: “E’ da qua che Amore si leva alla volta della Capitale della Gioia?”
Post-it #9: “Sssttt.. Da qua.”
Post-it #10: “Da qua. A Sinistra.”

Strabuzzamento di occhi. Ristrabbuzzamento di occhi. A sinistra. Ma a sinistra: il nulla. Niente. Muro. Bianco. Zero.

Stridore di pensieri. ASinistradovecomequando. A sinistra.

Ridestato dalla voce dell’Ingegner Bertin che ne richiamava garbatamente l’attenzione, accoglieva impreparato la fine del break. In testa soltanto una rosa, due petali di zenzero, un vago profumo di mare.

L’esito della riunione non aveva deluso le aspettative. Graffi a parte, il Progetto del Centro Polifunzionale aveva sedotto gli interlocutori. La presentazione era filata liscia come l’olio anticipando un successo annunciato. Confuso e felice quanto basta Andrea si riportava sulla strada di casa. Per la testa, un indecifrabile miscuglio di ansie lasciava presentire speranze lontane.

La hall dell’imponente edificio brillava fragorosa alle sue spalle. Ad accoglierlo, al tenue imbrunire, il viale alberato nitido delimitava il fiume. Un susseguirsi di falcate, un alito di vento sospeso dal fruscio chiassoso dei cespugli. Pensieri e passi, a braccetto per le vie, lungo il limitare a perdita d’occhio, ripercorrevano a ritroso le ore. La città respirava curiosa e schiva al far dei pensieri che scorrevano limpidi, scanditi da un crescendo di vita che ritrovava forma tra i nomi delle insegne, lungo i vicoli del quartiere affollato. A poco a poco tutto ritornava usuale, intimo. Il solito nostalgico tran tran.

Un attimo. Un lampo colorato. Un silenzio. Una vibrazione muta seguita da un sottilissimo ronzio. Poi, stop: di nuovo il solito tran tran.

Imboccato il vialetto del civico 39, un incantevole chiarore. Un manto di farfalle di carta lime ricopriva il sentiero della piccola via. Un immobile volteggiare suggerito dalle opalescenze dei microscopici led perigliosamente cinti alle languide silhouette di carta.

Uno spettacolo.
Di qualunque cosa si trattasse.
Uno spettacolo.

Immobile assisteva in silenzio alla graziosa danza col cuore ebro di poesia. Se la gioia aveva una forma era senz’altro quella di una farfalla che in una notte affatto qualunque di mezza estate volteggiava sulle note di un led. Emozione pura.

Intorno, nessuno.

Solo, Andrea si godeva quel silenzio meravigliato, carico di vita.
D’un tratto, un pensiero. Un istinto.

Post-it #9:“Sssstt… Da qua.”
Post-it #10: “Da qua. A sinistra.”

Si voltava di scatto. A sinistra. Mentre qualcosa di profumato e morbido gli sfiorava il viso. Sccchiock…Risccchiock.. Piussccchiock.

Umido. Battiti. Strabattiti.

Stsss….
Profumo.
Silenzio.

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